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Il vantaggio di questa terapia sta nello scarsissimo danno termico ai tessuti sani e nel basso rischio
di perforazione di organi cavi. Inoltre rispetto alla terapia termica si ottengono risultati più duraturi.
Per contro l’inconveniente principale sta nel fatto che il paziente sottoposto a sostanze
fotosensibilizzanti deve passare lunghi periodi (4-6 settimane) in assenza di luce per evitare la
formazione di radicali liberi nell’organismo. Per risolvere questo problema si stanno studiando
nuove sostanze fotosensibili che vengano smaltite più rapidamente dall’organismo.
Figura 7 Spettro di assorbimento di alcuni fotosensibilizzanti, es. ematoporfirina (linea continua). Nel caso
dell’ematoporfirina il picco di assorbimento si ha intorno ai 400 nm ma la luce con cui si irradiano i tessuti è di
630 nm (in corrispondenza di un picco molto basso di assorbimento); tale tecnica si usa per permettere una forte
penetrazione della radiazione internamente al tessuto tumorale aumentando così l’efficienza del trattamento.
Figura 8 Diagramma del trasferimento dell’energia da una sostanza fotosensibile (ematoporfirina) alle molecole
di ossigeno. La molecola assorbe un fotone con un conseguente salto di un elettrone verso orbitali esterni vuoti
(S1 e S2). Dopo circa 20 nsec possono verificarsi tre fenomeni: il primo è un decadimento radiativo con emissione
di fluorescenza, il secondo è una conversione dell’energia in calore e il terzo un cambiamento di stato
dell’elettrone il quale modifica solo lo spin (stato di tripletto T1 e T2). Quest’ultimo fenomeno è statisticamente
dominante e porta a sua volta ad altri fenomeni: il primo è un decadimento radiativo con emissione di
fosforescenza e il secondo (che è quello che ci interessa) un trasferimento energetico alle molecole di ossigeno che,
eccitandosi, producono radicali liberi.