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Quando si studia l’effetto termico del laser sui tessuti umani bisogna considerare le temperature che
si raggiungono e i danni che vengono provocati ai tessuti. Possiamo riassumere schematicamente il
tipo di danno in base alla temperatura:
43°C – 45°C
Ipertermia, cambiamenti conformazionali delle cellule
50°C
Riduzione dell’attività degli enzimi
60°C
Coagulazione, scioglimento delle proteine
80°C
Carbonizzazione, scioglimento del collagene
100°C
Vaporizzazione e ablazione
Tale schema è alla base di molte tecniche terapeutiche utilizzate per la cura dei tumori. Una di
queste è la necrosi selettiva dei tessuti: tramite un laser lanciato in fibra è possibile portare
endoscopicamente la radiazione nella massa tumorale; con potenze relativamente basse (circa 1W)
si scalda il tessuto tumorale (il quale è più sensibile alle alte temperature rispetto al tessuto sano)
fino a 45°C con una conseguente necrosi del tessuto stesso . Un altro utilizzo si ha nella chirurgia
tumorale d’urgenza; in alcuni casi infatti la massa tumorale può ostruire grossi vasi sanguigni o le
vie respiratorie; in questi casi i tessuti malati vengono direttamente vaporizzati per permettere al
paziente di sopravvivere.
Torniamo ora a parlare dei tempi di esposizione alla radiazione laser. La lunga durata degli impulsi
(che arriva fino a qualche secondo) comporta un danno termico ai tessuti sani dovuto alla diffusione
della radiazione nel sito operatorio. A questo scopo è stata determinata una relazione che determina
la distanza L alla quale si ha danno del tessuto sano in funzione del tempo di esposizione:
L
2
= 4K
t
dove
t
è la durata dell’impulso e K un coefficiente che tiene conto delle caratteristiche del tessuto
(diffusività termica del materiale in cm
2
/sec).
Ad esempio se consideriamo l’acqua che assorbe la radiazione del laser a CO
2
si ottiene una
velocità di diffusione della necrosi di 0,8 mm/sec; tale parametro è importante se si vuole utilizzare
il laser come un bisturi; in tal caso si utilizzano impulsi della dalla durata di circa 50
m
sec che
distribuiscono un’energia di 100mJ con una frequenza di impulsi di 100Hz; lo spot focale è di circa
300
m
m; da ciò si deduce che la velocità di spostamento sulla cute per non avere un danno termico
elevato è di 3cm/sec.
Un tipico esempio di utilizzo dell’effetto termico del laser si ha in oftalmologia per le patologie alla
retina. Infatti il diverso assorbimento della cornea rispetto alla retina permette di effettuare
operazioni di microchirurgia senza dover incidere il bulbo oculare. In Fig.5 è mostrato l’andamento
della modificazione del tessuto retinico in funzione del tempo. L’azione termica permette la
formazione di microcoaguli nel tessuto retinico ed epiteliale che sono utili nella cura della retina in
caso di distacco (es. retinopatia nel diabetico).
Figura 6 Modificazione del tessuto retinico in funzione del
tempo. Utilizzando un laser di lunghezza d’onda adeguata
si riesce ad operare in profondità (tessuto coroidale) senza
danneggiare la parte anteriore della retina.