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4.
Il presentatore
Presentazione di persona
Introduzione (Exordium)
L’esordio costituisce una delle parti più importanti della nostra presentazione; abbiamo pochi decimi di
secondo prima che i nostri ascoltatori, vedendoci alzare per la prima volta, si formino quella che si chiama
“prima impressione”, e abbiamo pochi minuti, non più di uno o due, per “catturare” la loro attenzione, e
conquistarci il “diritto” di essere ascoltati almeno per una parte della nostra presentazione.
E’ bene studiare molto attentamente l’esordio, valutando tutte le possibili sfaccettature e reazioni a
eventuali battute o aneddoti; non è opportuno, anzi è proprio controproducente fare una battuta a cui
nessuno sorride, o che addirittura rischia di indisporre una parte del pubblico (quindi niente barzellette
sessiste, o anche solo larvatamente razziste, niente politica, sport meglio di no, figuriamoci argomenti
religiosi: tabù!).
Era abbastanza usuale, nei manuali di “public speaking” di inizio ‘900, trovare il suggerimento di iniziare
la propria performance con una “battuta”: da manuale l’esempio di Douglas McArthur
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, che inizia proprio
con un piccolo e divertente aneddoto a lui capitato proprio la mattina della presentazione (vero ? inventato
? poco importa…), che strappa una risatina ai presenti; attenzione però perché non è affatto facile
strappare una risata (è spesso difficile anche per i professionisti dello show) e quindi non è bene farci
conto; inoltre si deve sempre valutare sia il contesto che l’uditorio: di fronte a decine di Professori
Universitari non è probabile che una “battuta”, se non incredibilmente azzeccata, sia proficua.
Il suggerimento in ogni caso rimane ancora valido, e riuscire a strappare una risata (contenuta) nel
pubblico è sicuramente molto positivo, perché crea una disposizione favorevole nei nostri confronti che poi
si rifletterà su tutta la presentazione; è però indispensabile che la “battuta” presenti alcune caratteristiche:
•
deve essere “adeguata” (attenzione all’uditorio, alla sua possibile sensibilità politica, morale,
linguistica, di genere…)
•
è preferibile fare una battuta “su se stessi” e su una propria personale disavventura, piuttosto che
riferirsi a qualcun altro
•
è bene che NON sia una banale barzelletta, che spesso è conosciuta dalla maggioranza dei
presenti (e la reazione sarà, quindi, diametralmente opposta a quella che volevamo: “la so già,
mamma mia, questa presentazione sarà una barba…”)
•
è vietato, per lo stesso motivo, ricorrere ad una “freddura”, che, proprio perché tale, avrà l’effetto
di “raffreddare” l’uditorio anziché di “riscaldarlo”.
Cosa ci rimane ? Noi. Semplicemente, con un pizzico di faccia tosta, possiamo raccontare (molto in breve)
un aneddoto (anche inventato o adattato, non è affatto un premio per chi dice la verità…) che metta in
luce un aspetto divertente o estremamente importante di quanto stiamo per presentare; raccontare una
disavventura che ci è capitata, sottolineando che comunque siamo un po’ nervosi e intimoriti, come da un
esempio tratto da (Bailey, 1992):
Conferenza, decine di partecipanti, esordio dello speaker dopo i saluti:
“Stamattina ho incontrato una signora del pubblico, poco prima dell’inizio, che mi ha chiesto: “Lei è il
presentatore della conferenza, oggi ?”,
al che io ho risposto, cortesemente
, “Oh, si”
e lei:
“Deve essere
particolarmente nervoso”
lasciandomi un po’ perplesso;
“Ma no”
, le ho detto,
“affatto; perché me lo
chiede ?”
e lei
“Perché è nel bagno delle Donne !”
Questa è anche una forma di “captatio benevolentiae”, dato che ci fa “scendere” dal podio e apparire
come una persona del tutto normale (come in effetti siamo), e fa capire al pubblico che in una certa
misura ci incute timore, rendendolo quindi bendisposto nei nostri confronti.
Un altro esempio, tratto da (Axtell, 1992): un presentatore, davanti ad un uditorio numeroso, esordisce
con:
“poco tempo fa ho tenuto un discorso davanti ad un pubblico un po’ più numeroso di voi, e alla fine uno dei
presenti si è congratulato con me dicendomi che aveva assistito alla “Rolls Royce” dei discorsi; questo mi ha
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Douglas Mc Arthur, discorso di accettazione del Thayer Award, pronunciato il 12 maggio 1962, Accademia Militare
di West Point, New York.