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Ognuno di questi aspetti può essere fonte di problemi ed errori, e, a parte i consigli indicati punto per
punto, l’importante sarà di esercitarsi; come dice un vecchio proverbio, “se vuoi imparare a suonare il
flauto, devi suonare il flauto”.
L’unico modo di “migliorare” la nostra tecnica espositiva sarà quindi quello di “provare” i nostri discorsi
(ma anche degli sproloqui senza particolare significato andranno bene) registrandosi e riascoltandosi,
utilizzando allo scopo i nostri tempi “morti”, ad esempio in auto (attenzione alla guida) o in autobus,
metropolitana etc. etc. : oggigiorno sono diffusissimi dei “miniregistratori” con cuffiette (lettori MP3) che, se
non si ha l’esigenza di una “fedeltà” elevatissima, hanno dei costi decisamente abbordabili.
In questo esercizio dovremo, fondamentalmente, fare attenzione a COME esprimiamo il nostro discorso, e
non a COSA stiamo dicendo (che, in questa fase, non è determinante).
Pause
La pausa: se non ci fosse, bisognerebbe inventarla. La pausa non è un vuoto da aborrire, non è una
mancanza, è una necessità ! Chi ascolta deve avere il tempo di assorbire quanto stiamo dicendo, e niente
di meglio di una pausa silenziosa per far penetrare un concetto particolarmente difficile o importante.
Anche all’inizio, l’uso di una pausa di silenzio prima di cominciare può permettere di attirare l’attenzione,
far cessare il brusio di fondo, concentrare su di se gli sguardi e poi iniziare con il proprio discorso nel
completo silenzio.
Intercalari e non-parole
Molte persone, quando parlano, hanno il “vizio” di emettere dei suoni privi di significato, tra una parola e
l’altra di una frase, o come “completamento” della frase stessa. Possiamo distinguere tre casi
fondamentali:
•
Trascinamenti: quando il presentatore “allunga” l’ultima vocale di una parola, tipo “alloraaaaa”,
“dunqueeeee”
•
Non parole: si riferisce all’utilizzo di “vocalizzi” come “eeeeee”, “uuuuh”, “aaaaa”, (la frase
sembra detta da qualcuno che, in effetti non sa cosa dire)
•
Intercalari: alcuni presentatori si innamorano di un termine (come “diciamo”, “allora”, “ergo”) o di
un avverbio, (come “evidentemente”, “praticamente”, “conseguentemente”), e con questi identici
termini infarciscono il discorso fino alla nausea
I primi due casi sono dovuti ad un apparente bisogno del cervello di “tempo” per poter pensare cosa dire,
e ad una sorta di “horror vacui”, paura del vuoto, del silenzio, che il presentatore “sente” di dover riempire
in tutti i modi.
La presenza di queste “non parole”, o di “trascinamenti” da un fastidio negli ascoltatori che è difficile da
quantificare; se il presentatore insiste molto su questo tono, probabilmente si sarà perso una metà
dell’uditorio nei primi 5-10 minuti, e il resto via via….
Il terzo caso è ancora più “divertente”: ci sono persone del pubblico che, prese dalla nausea, si mettono
addirittura a “contare” il numero delle volte che il termine viene detto, per poi fare una sorta di
“commentario” con gli altri partecipanti al break o alla fine della giornata.
Un presentatore si può liberare di questi “errori” semplicemente prendendone coscienza (se qualcuno
glielo fa notare o riascoltando una registrazione) e, in aggiunta, facendo un po’ di esercizio e attenzione
all’uso, al posto di trascinamenti e vocalizzi, di opportune pause; spesso per superare la paura del vuoto è
sufficiente comprendere che “non fa male”.
L’utilizzo di intercalari, se opportunamente “dosato”, può invece essere usato come “ancoraggio” (vedi il
capitolo relativo), soprattutto se la relativa pronuncia viene enfatizzata e il termine, ovviamente, non viene
abusato; un “ergo” (“ragion per cui”) messo solo ed esclusivamente quando stiamo tirando le conclusioni
di ogni argomentazione può aiutare il pubblico a “capire“ dove siamo, però è indispensabile non
abusarne (un po’ come il pepe nelle pietanze: non è indispensabile, un po’ ci sta anche bene, troppo fa
decisamente male).
Se abbiamo l’occasione di dover fare più presentazioni davanti allo stesso pubblico l’uso di uno o più
intercalari “tipici” può far parte del proprio “stile”, riconoscibile dagli ascoltatori e per questo ancora più
utile (sempre, ovviamente, senza abusare).
Pronuncia
Una corretta pronuncia? beh, sicuramente senza esagerare; in un contesto internazionale sarà necessario
soprattutto essere compresi, mentre in un contesto nazionale si dovrà evitare di dare una connotazione
eccessiva con una “calata” troppo marcata.
In definitiva l’uso di una pronuncia “non standard” tende a far inquadrare il presentatore come “poco
colto”, “poco raffinato”, e quindi a dequalificarlo, indipendentemente da cosa dice.
E’ però vero che tutto questo è condizionato dal pubblico: se abbiamo davanti un pubblico generico non
particolarmente titolato l’uso di termini e accenti anche dialettali può permetterci di “calarsi” al livello