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Sguardo
Lasciamo per ultimo lo sguardo, ma, come si dice in questi casi, “last, but not least”. Lo sguardo
comunica, molto più di quanto talvolta siamo convinti di pensare.
Racconta Camilleri (Camilleri, 1995)
“Due siciliani,
arrestati in terra straniera per un certo reato, fossero stati
rinchiusi in celle separate perché non potessero parlarsi e
concordare una comune linea di difesa. Al momento del
processo davanti al re, i due siciliani vennero fatti
avanzare a debita distanza l’uno dall’altro, ma a tiro di
sguardo. E infatti fulmineamente si “taliarono”. Intercettati
a volo quegli sguardi, il primo ministro, che era siciliano,
gridò: “Maestà, parlaru !”. Era inutile ogni confronto, i due
si erano intesi senza aprire bocca.”
E, più avanti : “domandai a Pandolfini durante una pausa del lavoro che allestivamo a Bergamo, al
Donizzetti: “Ma Pirandello e Martoglio, quando stavano assieme, che so, alla prova di una commedia, si
parlavano ?” “Si” mi rispose pronto “si parlavano a lungo, si facevano discorsi complicati, che non
finivano mai. Però non a parole” “E come, allora ?” “Niente. Non aprivano bocca. Si taliavano”.
Taliarsi: una versione dialettale che significa solo, apparentemente, guardarsi; ma, in realtà, significa
molto di più: significa comunicare con lo sguardo, ma una comunicazione completa che sostituisce, se
necessario, le parole.
Basta pensare all’esatto contrario: alla convenzione sociale che prevede, per degli estranei che occupano
uno spazio ristretto, di non “guardare negli occhi”: il solo farlo sottintende un inizio di comunicazione, una
volontà di comunicazione, e, se involontario, creerà imbarazzo e immediato “distogliere” lo sguardo.
Anche gli animali hanno questa particolarità: guardare fisso negli occhi un cane potrebbe scatenare una
reazione violenta, perché questo atteggiamento è visto come una sfida (e questo, tra l’altro, è in parte vero
anche nelle convenzioni umane: il più importante segno di “sottomissione” in molti rituali, religiosi e non, è
proprio quello di “abbassare lo sguardo”).
Il primo punto da sottolineare, riguardo allo sguardo, è che deve puntare proprio agli occhi, per stabilire
quel “contatto” che crea comunicazione.
Che il “contatto”, poi, sia molto percepibile, è facilmente dimostrabile con un piccolo esperimento:
posizionatevi di fronte ad un volontario a circa due metri di
distanza, e provate a “guardarlo” in faccia; fatevi dire quando
effettivamente lo state “guardando” negli occhi, e quando
invece il vostro sguardo sarà altrove (provate, ad esempio, a
“guardare” la bocca, la fronte, il mento, le guance, le orecchie
ecc.); vedrete che quando il contatto è “spezzato”, anche di
pochi centimetri, la persona se ne accorgerà.
Uno sguardo sfuggente, puntato nel vuoto, viene riconosciuto;
l’occhio del presentatore che “guarda” verso il fondo della
sala, viene individuato dai presenti che ne percepiscono,
evidentemente, la “fissità” e “innaturalità”, e quindi avranno
maggiori difficoltà a entrare “in comunicazione”.
Un buon presentatore deve guardare negli occhi il pubblico; ma come è possibile, se sono molti ? si dovrà
procedere gradualmente a “contattare” con lo sguardo una persona alla volta, in zone diverse e via via
lontane della sala, fino a “coprire” il maggior numero possibile di presenti.
Attenzione, però: si deve “stabilire il
contatto”, e questo è impossibile se
guardiamo negli occhi una persona
per pochi secondi; in questo caso
avremo un effetto “zapping” che fa
pensare
ad
un
presentatore
impreparato, insicuro, nervoso.
Dobbiamo invece concentrarsi su una
persona, “guardarla negli occhi”,
parlare “solo con lei” per almeno una
frase, fino ad un punto, una pausa,
per poi passare alla persona
successiva.
L’importanza dello sguardo è
particolarmente evidente nella PNL,