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Flettere la testa a destra o a sinistra: simboleggia il “prestare orecchio”, dimostra che siamo
disposti ad ascoltare il nostro interlocutore
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etc.
La cosa interessante è che questi elenchi spesso non sono concordanti, e, soprattutto, non tengono affatto
conto di differenze culturali anche profonde che possono sussistere sia tra noi e il pubblico, sia tra i
componenti del pubblico stesso (che quindi possono interpretare i nostri gesti in modo del tutto anomalo
rispetto a noi o rispetto agli altri).
E che dire, banalmente, di un presentatore che ha un problema fisico di mal di schiena? o una
lombosciatalgia? e che cerca, onestamente, comunque, di fare il suo lavoro stando in piedi, ed è
“costretto”, ogni tanto, ad appoggiarsi al tavolo per trovare sollievo? è forse un segnale di insicurezza?
Da tutto questo ne consegue una regola sola, ma molto semplice: l’importante è essere naturali, del tutto a
proprio agio; ci sono persone che gesticolano molto poco, e ci sono persone che gesticolano troppo;
l’unico consiglio che si può dare è di non eccedere, né in un senso né nell’altro.
Un minimo di attenzione quindi solo nel caso in cui abbiamo la tendenza ad immobilizzarci (e questo è
probabilmente causa di noia e assopimento nelle persone, soprattutto se oltre a stare immobili abbiamo
anche una voce monotona), oppure se abbiamo la tendenza opposta a gesticolare troppo e a muoverci in
modo che appare, e probabilmente lo è, nervoso; in questo caso la cosa migliore da fare è ricorrere alla
preparazione “pre-presentazione” per ridurre il nervosismo, diminuire la dose di caffeina quotidiana,
cercare di fare una sessione sportiva il giorno precedente (anche una bella passeggiata può essere
sufficiente a scaricare il nervosismo) e, ovviamente, provare a “vederci” mentre stiamo presentando.
In questo senso l’uso di una telecamera per riprendere la nostra performance (o le nostre prove) e poi di
riosservare criticamente il nostro gesticolare (è bene farlo ad audio azzerato, proprio per concentrarsi su
cosa il nostro corpo comunica senza essere distratti dalla voce) è un esercizio che porta ad un livello di
consapevolezza sufficiente per evitare, piano piano, almeno gli atteggiamenti più negativi.
Comunicazione non verbale
“Medium is the message”: questa frase fin troppo abusata di McLuhan sottintende un aspetto talvolta
trascurato: il messaggio che “passa” è condizionato in modo determinante dal “canale” utilizzato.
Il processo percettivo segue infatti i canali visivo, uditivo, tattile e, anche, olfattivo e del gusto.
Utilizzare un solo canale significa limitare il nostro messaggio, renderne comunque più difficile la
comprensione completa.
Una accorta gestione e utilizzo dei canali, privilegiando sicuramente quelli visivi e uditivi (che hanno una
predominanza sugli altri) ma non trascurando la possibilità di abbinare, ove possibile, l’uso degli altri in
un messaggio “coerente” e “coordinato”, aumentano in modo significativo la possibilità di far “passare”
quanto abbiamo da trasmettere.
La comunicazione (Birdwhistell, 1971) avviene in larga parte ( 65% ) attraverso il canale visivo dei gesti;
quasi sempre l’interlocutore interpreterà in modo praticamente inconscio una serie di tali testi e li includerà
nel “messaggio” per interpretarne il significato.
La grande importanza e capacità di trasmettere messaggi utilizzando solo la mimica è ampiamente
dimostrato (Casiddu 2004) dalla comprensibilità dei film muti di Charlie Chaplin e Buster Keaton, che
avevano sviluppato una capacità mimica tale da permettere una comprensione delle situazioni e del
contesto indipendente dal parlato.
Lo studio del linguaggio del corpo ha visto un notevole interesse negli anni sessanta e settanta,
successivamente è stato un po’ ridimensionato e si è compreso, soprattutto, che la estrema variabilità
diatopica e diacronica rende molto difficile stabilire una sorta di “Gestario” utilizzabile in modo analogo
ad un “vocabolario dei gesti” per rendere intelligibile una comunicazione “non verbale”.
Ad una analisi accurata la maggior parte dei comportamenti non verbali presenta differenze di carattere
culturale: ad esempio il movimento della testa in senso orizzontale è “normalmente” associato ad un senso
di “negazione, NO”, e il movimento in senso verticale al senso di “affermazione, SI”; in Bulgaria, però,
questi significati sono scambiati, mentre in Grecia e in Sicilia il diniego si esprime con un secco movimento
della testa all’indietro.
L’alzare un sopracciglio è normalmente considerato un segno di “attenzione, riconoscimento”, ma talvolta
esprime, da parte di un ascoltatore, un senso di sorpresa, di non completo accordo o incomprensione; al
tempo stesso, però, in Giappone tale gesto è considerato sconveniente.
Il movimento delle mani è ancora più difficile da interpretare; culturalmente i mediterranei (e in particolare
gli italiani) sono considerati, dal resto del pianeta, come dei “gesticolatori” eccessivi; in effetti il consiglio
primo, per un presentatore tipico “italiano”, sarà quello di controllare la propria esuberanza gestuale e di
cercare di limitarla.
Anche il semplice gesto di enumerare dei punti utilizzando le dita è, in casi particolari, un messaggio di
“appartenenza” o di “non appartenenza” implicito: nella cultura Italiana (ed europea in genere, per
quanto mi risulta)